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Vi prescrivo “Il Contrabbandiere di Parole”

La tradizione vuole che accorciare i propri capelli corrisponda a tagliare col passato. Le forbici dovrebbero, dunque, allontanare i pensieri più pesanti per liberare l’animo ad un futuro migliore; ma se alle lame si sostituisse un palloncino rosso a portare via quei capelli in eccesso? Se in realtà quella plastica gonfia d’aria alzasse solo quell’intenzione, creando una bizzarra immagine e, allo stesso tempo, un’insolita condizione esistenziale? E’ semplice, saremmo al cospetto delle pagine del romanzo d’esordio dello spagnolo Natalio Grueso: “Il Contrabbandiere di parole” ( Salani editore).

Saremmo difronte ad una storia nella quale il trascorso di ogni protagonista diventa la loro più fedele prerogativa alla ricerca della felicità. Sì perchè, l’affascinante ladro Burno Labastide, il prescrittore di libri Horacio Ricott, il cacciatore di sogni e la giovane giapponese dagli occhi color miele, Keiko, finiscono col trovare la felicità partendo dalla loro solitudine negli altri.

Appartengono a quella esigua quantità di uomi speciali che la felicità la riconosco quasi esclusivamente al di fuori di sé. Attorno a sé: in quelli che incontrano in cui l’aiutano a nascere. In cambio? Le preziose parole. Così nasce il contrabbando, che rimanda a qualcosa di losco, di segreto, di irregolare eppure rientra in un meccanismo di giustizia spirituale che dovrebbe ritrovare spazio in un mondo che ha dimenticato il peso ed il senso delle parole.

Gli uomi che vogliono trascorre una notte indimenticabile con Keiko debbono conquistarla con le parole di un bigliettino che la spinga a sceglierne uno tra tanti; Horacio prescrive le parole dei libri al posto delle medicine ai suoi “pazienti”. E poi c’è lui che sembra un sagittario armato di frecce, il cacciatore di sogni, che sa bene da chi andare, che non si può chiamare.

E’ un puzzle di tessere sparpagliate tra Parigi, Buenos Aires, Venezia, Indocina, complici gli itinerari di questi “contrabbandieri di parole”: persi nella solitudine delle loro vite, nel caos di uno specchio del presente, in cui dovremmo immaginare di pagare a peso d’oro quelle parole che usiamo in eccesso o centelliniamo troppo. Tessere tenute insieme dal desiderio, dalla fantasia, dalla gratitudine espresse nell’insieme però di un esemplare smarrimento, di cui lo stesso lettore potrebbe rimanere dolcemente vittima, in una miscellanea che diventa rimendio magico.

Antonia De Francesco con “Il contrabbandiere di parole”

Allora comprendi perchè un grande scrittore come Paulo Coelho abbia definito q uesto romanzo “delicato e commovente”: Keiko, Horacio, Burno, il cacciatore sono come il suo Santiago, protagonista de “L’Alchimista”, in grado di riconoscere il linguaggio simbolico e universale che li lascerà penetrare nell’”Anima del Mondo”, realizzando, a tal punto, la propria “Leggenda Personale”.

“Il contrabbandiere di parole” è, dunque il titolo ammaliatore di una sorta di testo/pozione: che pone un problema esitenziale a cui fornisce, a suo modo, una soluzione, ma che, soprattutto, lascia una sensazione: quella di aver lanciato una definizione per tutti coloro che ancora giocano con l’amore per le parole “mitigando la terribile condanna” alla “maledetta solitudine”.

E’ il libro che per eccellenza si dedica ad una declinazione della poesia nella quotidianità e, egualmente, una “prescrizione” per tutti coloro che ogni giorno lavorano con le parole o vogliono riscoprirne il valore con cui possono risollevare la vita di ognuno.

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