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“Bastava non farsi coinvolgere”: ma è davvero possibile?

Bastava non farsi coinvolgere (Largo Libro, 2020) ma come è possibile nella vita? Il titolo del romanzo di Paolo Fiore è una premessa in puro stile provocatore: basta a dirci che la storia che sta per accoglierci sfiora il paradosso e torna indietro!

Tutto inizia già dalla copertina, nata dalle mani e dalla fantasia di Irene Fiore, la quale rappresenta una porta con un soprabito e allora viene subito da chiedersi: c’è qualcuno che è uscito o bisognerà entrare? Si è subito, insomma, sulla soglia della scelta: farsi o non farsi coinvolgere?

E d’altronde è su questa “soglia” che si muovo i personaggi della doppia storia. Una storia nella storia – un doppio livello di immaginazione – che puntano a farti chiedere quali sia la più reale, pur lasciandoti nella convinzione che ogni storia, in quanto tale, sia reale quand’è vissuta, anche se solo attraverso la lettura.

Non a caso le due storie di Fiore – medico, già noto alla scrittura con altri romanzi – sono legate da un filo, tanto simbolico quanto reale, quello del telefono. Il telefono, in varie forme e utilizzi, diventa una sorta di pass par tout per saltare da una storia all’altra e pure tenerle legate. Garantire sempre e comunque la “comunicazione”, una condivisione che porta però di nuovo a chiedersi (a chiederti!): “vuoi essere coinvolto?”. Il primo a misurarsi con tutto questo è il signor Danzica, agente segreto, dotato da Madre Natura di un evidentissimo neo accanto al naso; un neo kafkiano che per assimilazione incarna una “minaccia” costante, così come l’ “attesa” – ed una sorta di stato d’ansia/apprensione/eccitazione che accompagna l’uomo in tutte le sue avventure.

“Continuavo ad armeggiare attorno a quel neo, ripulii ancora col dorso della mano lo specchio appannato e mi sembrò quasi ingrossato. E come ogni giorno per un istante lo pensai: se solo avessi avuto un bisturi e la determinazione di passarci sotto la lama per estirparlo per sempre, avrei risolto in una volta quel problema, ma, come ogni giorno, continuai a girarci intorno lentamente per ripulire anche l’ultimo pelo”.

Danzica si muove in circolo: fugge dall’Asia, da una nuova missione, ma poi alla fine si ritrova di fronte a quella che è una storia inevitabile.

Massimo, invece, l’altro protagonista che legge delle avvenutre di Danzica mentre è in vacanza al mare, scegliendo di non rispondere più al telefonino, ci spinge a chiederci se la sua lettura sia o meno un’esperienza catartica.

Il lavoro di Paolo Fiore è la costruzione di una storia particolare, per gli intenti e lo sviluppo. Non ultimo quello di lasciar affiorare la complessità del linguaggio. L’autore, infatti, ci consegna un importante messaggio riguardo alla sua ambivalenza: nonostante l’intento chiarificatore del linguaggio, spesso lo stesso finisce con l’essere più ambiguo di quanto si possa auspicare.

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