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“Perchè parlavo da solo”, il soliloquio del popolare presentatore Paolo Bonolis

E’ una consuetudine in netto declino tra i bambini di oggi, ma per me era il completamento di qualsiasi gioco fosse frutto della mia immaginazione: io da piccola parlavo da sola! Interpretavo un personaggio, una situazione, mi catapultavo in un mondo inventato e mi è sempre bastato sapere questo per non chiedermi perchè lo facessi; solo oggi – guardandomi da lontano – scovo in quella abitudine anche il timido tentativo di sublimare il mondo circostante e comprenderlo, di fatto interpretandolo.

Perchè parlavo da solo ( Rizzoli, 2019), dunque, ha subito catturato la mia attenzione per il titolo, che mi ha spinto a credere di avere in comune con il suo autore, il popolare autore e presentatore televisivo Paolo Bonolis – ed altre migliaia di persone – questo “gioco”. D’altro canto, chi ha questa abitudine, anche in età adulta continua a mettere in campo il medesimo algoritmo, perchè pensare a voce alta aiuta a mettere in ordine i pensieri.

Così Bonolis con questo romanzo si cimenta nella stesura di una sorta di soliloquio; un diario parlato – come dire – in cui si intrecciano ricordi, aneddoti, riflessioni, parole che gravitano attorno al bagaglio esperienziale che consegnerà la sua generazione a quella dei suoi figli, del tutto diverso da quello che egli stesso a ricevuto da suo padre a cui bastò un braccio per passarglielo.

Con lo stile inconfondibile del conduttore che da tantissimi anni entra nelle case, leggero nella sua sofisticatezza, pungente quando basta, a cavalcioni della comicità e al trotto della satira, Bonolis – nei suoi diciotto capitoli – propone argomenti di tutti i tipi, partendo dai suoi pensieri appuntanti nel tempo sulla felicità, sulla televisione, la famiglia, lo sport, la tecnologia e tanto altro. A ben guardare, l’autore si interroga sul suo essere uomo, per infetti riflettere sul paradigma dell’essere umano odierno e – andando ancora oltre – sul senso ultimo dell’essere umani in genere.

Per farlo “parla da solo” in un flusso appassionato e costante che gli consenta di non perdere il ritmo della comprensione nella quale c’è tutta la possibilità di avvicinarsi all’ “altro”, di non creare distanze, ma ponti di intelletto e cognizione.

Viaggia veloce il fiume del tempo, molto più di quanto scorreva in passato. E scava sempre più profondo il canyon che attraversa. I miei figli sono dall’altra parte e potrebbero partire prima che possa raggiungerli. Gli vorrei consegnare quello che ho conservato. Non c’è molto tempo e, senza il mio bagaglio, ho paura che il loro viaggio sia molto più faticoso di quello che intrapresi io.

Ho 58 anni adesso che scrivo e, il mio viaggio, l’ho iniziato che ero ragazzo. A quei tempi anche mio padre mi consegnò il suo bagaglio, ma gli bastò allungare un braccio per passarmelo.

Parlare da soli, non significa parlare al vento. Significa parlare in tutta onesta a sé stessi – atto prezioso e non troppo diffuso -; significa parlare a chi s’immagina e significa parlare a chiunque abbia la pazienza di ascoltare. Una fila di intenzioni che bastano a comprovare il tentativo di voler allontanare quella forma dell’ animale con la spocchia – che è l’uomo – che riesce ogni volta che si prova a guardare oltre il proprio naso, che nel caso specifico di questo libro si traduce anche nel sostegno che chi lo acquista dà al progetto Adotta un Angelo.

In natura esistono forme animali diverse: alcune con le branchie, altre con le zampe o con le ali, molte con le mammelle….L’uomo è l’animale con la spocchia, una sorta di escrescenza interiore sviluppatasi in millenni di presunzione. Ultimamente ho provato a strapparmela di dosso. All’inizio vi devo dire che ci si sente un po’ confusi e smarriti. E’ una sensazione ingannevole, però. Perchè dopo è bellissimo.

Quindi sarebbe questo il senso della vita?

Scusate l’acrobazia, ma credo proprio che il suo senso stia nell’accettarne il non senso.

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