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“Blu Persia e rosso porpora” per il giallo in Vaticano di Giovanni Ferrero

Che la “bellezza” nel senso più profondo e sfumato possa salvare, o comunque condizionare in meglio, la vita di ogni singolo individuo non è una verità inusitata, a maggior ragione quando per essa scegliamo i veicoli dell’arte. Ambedue – bellezza ed arte, in particolare quella pittorica – trovano ampio spazio nella spy story di Giovanni Ferrero dal titolo Blu Persia e rosso porpora (Salani Le Stanze, 2021) che scandaglia abilmente gli aspetti più intimi del potere della Chiesa, così come dell’animo umano.

Tutto inizia col furto di una tela “sacrilega”: un quadro raffigurane la Basilica di San Pietro inclinata e in procinto di diventare un cumulo di macerie. L’opera viene trafugata in una piccola chiesa di Roma mentre è affidata alle cure della restauratrice Chiara che – scossa – confida l’accaduto ad un amico Enrnest Hamilton, pittore inglese in vacanza in Italia per ritrovare l’ispirazione. Sono loro a cimentarsi in un’indagine quando il quadro riappare sul luogo del rapimento del cardinale ivoriano Maltiade, il candidato più pababile a succedere al Soglio Pontificio il morente Vescovo di Roma. Una vox populi che non entusisma tutto il mondo ecclesiastico dal momento che il potenziale prossimo Papa rappresentava un’indole progressista che avrebbe indotto una “brusca sterzata” alle millenarie dinamiche.

E così che l’indagine privata dei due amici, insieme con l’indagine ufficiale del commissario Gravini, conducono il lettore con un sostrato di interessi economici e spirituali che mettono in discussione anche il futuro, dal punto di vista sociale e culturale.

Ed è questa l’abilità dell’autore che rischiara tra queste pagine: inserire nelle cupe tinte di un thriller, con un buona dose anche di scaltrezza visto l’appeal che il genere esercita sui lettori, una riflessione di tutt’altra sorta. Una riflessione sugli equilibri sociali. D’altra parte troviamo anche la “politica”, decisamente in linea con la sua accezione coacervatica di “arte politica” anch’essa inizialmente concepita senza peccato, ma poi violata e ridotta ad altro.

Ad ogni modo il giallo dell’indagine di Chiara ed Ernest sconfina nel thriller – pur lasciando vallate di narrativa ricca e a tratti poetica, quanto di più distane dai ritmi sincopati dei generi citati – riuscendo a creare tension, avidità di sapere e conducendo così ad un finale…che potrebbe sorprendere.

L’impressione è che quelle “vallate” di prosa, corrispondano esattamente a quelle “vallate” in cui lo spirito corre libero quando incontra la bellezza dell’arte da cui – ricordiamo – parte la vicenda; consentendo quasi di osare un parallelismo con quello che l’ossigeno creativo che potrebbe voler cercare un autore che nella vita strettamente professionale è alla guida di uno dei più grandi, solidi e “dolcissimi” colossi industriali italiani.

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