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“Il canto di Messalina”, l’incanto doloroso di una donna sopraffatta dal dolore

Messalina è una figura storica femminile molto forte della quale però si parla poco e quasi sempre male e a posteriori. Lo fa Tacito nell’ XI Libro degli “Annales”, così come Giovenale, ma l’autrice del romanzo Il canto di Messalina (Rizzoli, 2022), Antonella Prenner va oltre.

Allontanandosi da ogni pregiudizio rispetto a questa giovane donna – non guarda film che la riguardano, non legge il fumetto erotico che porta il suo nome – continua a documentarsi tra i testi di letteratura antica. Legge oltre: apprende da Svetonio che «Claudio l’aveva amata tantissimo» e dal medico Scribonio Largo l’unica testimonianza di qualcuno che l’aveva realmente conosciuta e per lei aveva studiato rimedi medicamentosi, cure e un dentrificio nuovo affinchè il suo sorriso fosse ancora più lucente, grazie al potere sbiancante fornito dall’uso – nella ricetta – di “corna di cervo”.

La Messalina che ci consegna la Prenner è una donna dalla bellezza divina e magnetica la cui vita è segnata da passaggi dolorosissimi dei quali accumula profonde “cicatrici” che dall’anima sembra provare a spostare sul suo corpo abbandonandosi alla Suburra: è un bambina orfana di padre, è la figlia adottiva di un uomo che ne fa merce di scambio per entrare nella famiglia imperiale; è la sposa diciassettene di Claudio – anziano, deforme, balbuzziente e umiliato dal Potere stesso che ha prima preferito suo nipote Caligola al ruolo di imperatore e poi nominato lui.

Messalina sembra in qualche modo vittima del suo tempo, delle dinamiche toccatele in sorte ed è di quel potere che vuole vendicarsi, finendo però col fare del male a se stessa.

La Prenner non porta avanti un tentativo di “riabilitazione” dell’imperatrice Messalina la sua è più che altro l’idea – romanzata – di scavare dietro la lascivia e la violenza di Messalina, interrogandosi, in effetti, sul perchè Claudio, nonostante quello che la letteratura antica racconta di lei, l’amasse così tanto.

Così vediamo una giovane donna tormentata dal desiderio di “simulare e dissimulare” sperando di affrancarsi dal suo dolore; una giovane madre che si crea un sistema di relazioni in cui orbitano donne simbolo: Agrippina (libidine del potere), Livilla (amore corrotto e sentimento vero con Seneca) Milonia e Giulia Drusilla (vittime della violenza sanguinaria del potere), Domizia Lepida ( mamma traditrice), Panfilia (amore sincero), Arria (cura materna).

Messalina resta una protagonista pervasa dal dolore che finisce col sostanziarsi con una nemica su tutte: Roma.

“E lei, imperatrice imponente su quella Roma sottomessa dalla pioggia e dal vento, soffriva come l’ultimo degli schiavi per cercare qualche risposta e il conforto di un’amica”.

La Roma in nome della quale lei stessa muore per mano di Claudio, nonostante il forte sentimento che lo lega a lei e che fa di queste pagina anche una grande storia d’amore.

Tant’è che viene da chiedersi se non sia meno di un caso che sia proprio l‘uomo che l’ha amata – Claudio – ad estirpare la sua sofferenza, benchè lo faccia con l’uccisione (non senza aver provato ad offrirle ogni genere di conforto!).

Claudio merita la sorta di retrospettiva che l’autrice in qualche modo gli dedica: la sofisticatezza e la saggezza del pensiero, la capacità di governo e l’equilibro consegnano di lui un ritratto intenso. La capacità di rispetto nei confronti di Messalina, il grado di consapevolezza e quasi il senso di colpa che lo travolgono nei suoi confronti – giovane e bella – gli fanno rinunciare alla prima notte di nozze.

Affetto da balbuzie, all’epoca si credeva che il disordine delle parole corrispondesse ad una sterilità dei pensieri: una correlazione che non sussiste in senso assoluto, né tanto meno in Claudio.

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