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“Come muoversi nella densa e umorosa materia dell’amore”, Luca Trapanese ne “Le nostre imperfezioni”

Tutto parte con un viaggio lungo il Cammino di Santigo e tutto si apre in un altro viaggio quello nell’innamoramento tra Livio – ex-seminarista e impegnato nel volontariato – e Pietro, architetto costretto su una sedia a rotelle a causa dell’incedere di una malattia degenerativa. Le loro prospettive di vita sembrano ingessate, ma, in fondo, il solo fatto che siano impegnati in un viaggio spirituale così potente, come quello verso Compostela, suggerisce quanto siano disposti a mettersi esistenzialmente in gioco.

E’ il racconto del primo romanzo di Luca Trapanese dal titolo Le nostre imperfezioni (Salani Editori, 2021): una storia d’amore lontana dai i più classici prototipi e aperta, invece, a rivelare le pieghe più intime di un amore vissuto ben oltre la coppia. Se la storia tra Livio e Pietro che, nonostante le reticenze iniziali, prende il volo è al centro della vicenda narrata, il vero protagonista è, senza dubbio, il sentimento amoroso declinato in molteplici sfaccettature.

Quello descritto da Trapanese è l’amore per il proprio compagno di vita ed è l’amore per il prossimo; è l’amore per la famiglia d’origine e quello per la famiglia che ci si costruisce al di là dei legami di sangue; è l’amore scelto, coltivato, e quello del sesso occasionale che allontana dai luoghi comuni; è l’amore per la speranza di trovare nuovi equilibri, nuova energia vitale e progetti da condividere anche quando tutto sembra perduto. E’ l’amore per il bello, per una genitorialità bramata, ma accantonata, che torna quando tutto sembra perduto.

E’ un amore che trova sempre una nuova forma e un nuovo vigore come solo l’amore più vero sa fare; quell’amore che torna tanto più ne metti in circolo: è una lezione seria e profonda quella che Trapanese, probabilmente pur non volendo, incide tra le parole di questa storia d’amore e morte: così vicine, così serrate, così appartenenti l’una all’altra.

Ciò che avvince di questa vicenda d’amore tra Livio e Pietro è proprio questo: la naturalezza della morte che si fa sentimento, non da accantonare, da dimenticare, ma da metabolizzare per consentire la rinascita. Questo vale e torna quando Livio lascia “morire” il progetto di vita in seminario per tuffarsi nella vita di coppia con un uomo la cui condizione di affetto da una malattia degenerativa potrebbe negare il principio di qualsiasi trama che non abbia una fine già preocemente scritta. Vale quando Livio lascia morire il suo presente fatto di una villa al Vomero e di una vita agiata in nome di un divenire molto più prezioso, quello di un amore moltiplicato con l’associazione “A ruota libera”, una realtà di assistenza a minori disabili e affetti da malattie terminali.

Amore vuol dire speranza, ma non in una prospettiva futuristica o in una nostalgica rivoluzione per allontanarsi dal passato, più che altro per una traduzione sentimentale presente. Livio è un coraggioso, Pietro altrettanto.

Per leggere Le nostre imperfezioni ci vuole una distanza siderale dall’immaginario spiccio e un’attitudine potente ad andare oltre ciò che è, per vedere ciò che può essere, accettando – con questo romanzo – ciò che il quotidiano La Repubblica definisce “Una sfida contro tutti gli stereotipi”.

“Le relazioni. L’amore. I sentimenti La passione. Le piccole manovre della vita quotidiana. Le giuste alchimie. Dosare i sorrisi e le parole. Vivere i momenti di distanza e di affetto. Livio non sapeva abbastanza. Lui agiva seguendo l’istinto, puro e semplice, come un bambino che scopre per la prima volta il mare. Anche lui procedeva timoroso, a passi stentati, cercava di capire come muoversi nella densa e umorosa materia dell’amore”.

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