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L’amore giocato e lasciato dentro a “Il giardino dei Finzi-Contini”

Solitamente l’amore si pensa su una “prospettiva”. Una storia d’amore si costruisce pensando al futuro, eppure Giorgio Bassani riesce a pontificare una profonda vicenda amorosa nello spazio di un ricordo che spadroneggia nei sensi di un anomino protagonista ed è solleticato dal tragitto in auto di una gita fuoriporta. Non solo. Lo pensa su uno “sfondo”. Abilmente si mescolano, così, storia privata e storia pubblica, l’amore che unisce e che, purtroppo, è costretto a misurarsi con le separazioni che le leggi razziali impongono, in una Ferrara che si trasforma nell’aspetto e nelle consuetudini sotto il peso delle vicende di tutta la prima metà del Novecento, culminate nel secondo conflitto mondiale. In questo modo, con questo ritmo, un andirivieni che ricorda tanto quello delle palline sui campi da tennis, siamo ne Il giardino dei Finzi-Contini(Universale economica Feltrinelli – 2017).

Si tratta di una delle Cinque storie ferraresi dello straordinario ciclo Il romanzo di Ferrara, città nella quale l’autore ha trascorso tutta la sua infanzia e adolescenza, facendo il teatro della narrativa alla quale si è dedicato al rientro dalla Resistenza. Scrittore, poeta, consulente editoriale per Feltrinelli, Giorgio Bassani è stato anche vicedirettore della Rai.

Il giardino dei Finzi-Contini. Un luogo aperto all’emozioni, fiorito di speranze e perso in inestimabili ettari di terreno su cui veglia la “Domus Magna”; lì dove il tempo sembra dilatarsi, non rincorrere più l’attualità per mutare in un rapido slancio e rinvio a colpi di racchette, lì dispiegano i loro giorni Micòl e Alberto, figli della famiglia Finzi-Contini, con i quali si crea un rapporto sempre più stretto, avviluppante. Ma è Micòl la miccia dei giovani turbamenti emotivi del protagonista. Micòl la sua spensieratezza, la sua algida bellezza, la sua simpatia mista ad un temperamento forte e risoluto. L’amore ha bussato alle loro porte dal primo incontro pre-adolescenziale, quando complice una brutto voto a scuola e una consolazione inespettata, per la prima volta si ritrovano insieme in quel magico giardino.

Cresce la complicità, insieme al loro numero di scarpe. Giovani universitari il rapporto dell’anonimo protagonista e Micòl cresce e si consuma sempre di più proprio in quel prato tra i compenenti dell’importante famiglia, con gli amici, Alberto (fratello di Micòl) e Malnati. Intanto, le loro esperienze universitarie devono subire un’accellerata affinchè possano trovare una conclusione, i circoli sportivi, culturali, continuano via via a chiudere le porte a loro, giovani ebrei assorbendo progressivamente le linee politiche nazionali.

Il mondo li chiude sempre più fuori e loro si rintanano sempre più dentro al loro mondo racchiuso tra le mura della tenuta Finzi-Contini. Ed è lì in quel mondo piccolo, tutto sommato liberatorio, ma soffocante che il fermo immagine in cui rimarrà per sempre intrappolato l’amore di Micòl ed il protagonista prende vita per qualche attimo: lui sogna, la bacia prova a possederla, ma non per semplice goduria, ma per sugellare con la carnalità la profondità elettiva che i loro cuori racchiudevano. Lei, consapevole, non si lascerà mai andare.


“Più del presente contava il passato, più del possesso il ricordarsene. Di fronte alla memoria, ogni possesso non può apparire che delusivo, banale, insufficiente”. Sente l’odore del ritorno a Milano dell’amico Melnate; sente l’odore della malattia del fratelo; sente la puzza delle leggi razziali rendenre l’aria sempre più irrespirabile; sente in lontanza il fetore di certa umanità ai margini della “cenere” che avrebbero prodotto.

E allora che l’amore rimanga lì in quel giardino. Non appeso ad un futuro la cui consistenza non è paragonabile neanche a quella di un panno lercio. “Anche le cose muoiono. E dunque, se anche loro devono morire, tant’è, meglio lasciarle andare. C’è molto più stile, oltre tutto”.

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