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“Un dono di Suono e Visione – David Bowie e il teatro di Lazarus”, i sogni scritti e descritti dalla Orlando

Il valore estrinseco dell’oggetto sostanzia un “regalo”, il valore intrinseco dell’atto determina il “dono”: credo che sia opportuno partire da qui volendo leggere il saggio che l’autrice Enrica Orlando dedicato al camaleontico – a tratti istrionico – David Bowie e allo spettacolo teatrale Lazarus – Un dono di Suono e Visione – David Bowie e il teatro di Lazarus (Arcana, 2023). Il perchè è presto spiegato sbirciando la discografia della star britannica – cantautore, polistrumentista e attore, full immersion cellulare nell’arte, nell’eccesso, nell’inesplorato: “Sound and Vision” è un brano musicale scritto e interpretato nell’album “Low” del 1977, che la Orlando sceglie con cura per incarnare l’anima del suo lavoro. C’è una reciprocità che prende forma in questa scelta che dice molto di Lui, ma tanto anche di Lei: la scrittrice, ma evidentemente anche critica e appassionata del “Il Sottile Duca Bianco”, dona ai suoi lettori, ciò che Bowie ha “donato” a lei, così come al suo pubblico. Un omaggio, dunque, che inzia con un ossequio ai sentimenti già dal titolo.

Il saggio non è una mera disamina attenta e scrupolosa dell’Autrice, ella è altrettanto capace di soffermarsi nelle pieghe dello spettacolo “Lazarus” e di allargarsi a macchia d’olio nell’esistenza di Bowie, lungo il suo passato, penetrando il suo futuro, come la stessa visionaria rock-star aveva sempre fatto.

Nel mare aperto di interpretazioni che Lazarus fornisce, si possono individuare alcuni temi portanti, come boe a cui ancorarsi. Lo schermo, i personaggi-simbolo, il teatro, la follia, il tempo, la struttura stessa dello spettacolo, la multimedialità, la libertà, la musica, il colore come traduzione visiva di amore, delirio, sogno e morte. Sono arterie principali, si diramano attraverso altri temi capillari, che irrorano il corpo intero della storia.

E’ un po’ come se nel corso del libro, la Orlando riuscisse a riproporre una sorta di “algoritmo bowieniano” di approccio ad un esistenza in cui il “dono” dell’arte – fatta in tal caso di musica e mimica, prima ancora che recitazione, e posa, colore, dettagli narranti – diventa strumento per scoprire, scoprirsi, andare continuamente oltre quello spazio siderale dove insistono i sogni. Un po’ come tentare di raggiungere quel mondo delle idee, quell’iperuranio al di là del cielo, in cui risiedono le idee e di cui siamo magra copia.

La penna della Orlando analizza lo spettacolo scritto da Enda Walsh e David Bowie – un’opera rock definita il regalo d’addio di David Bowie al mondo – non con lo scopo di trovare delle risposte – così come d’altra parte non si fa in amore – ma con la determinata volontà di seguire tutte le domande, in una ricerca infinita che segue la scia dell’alieno – protagonista – seguito sulla Terra e rimasto bloccato qui, tra il sogno di tornare indietro e il dolore di una realtà che lo divora. Questa prospettiva non poteva che essere imprescindibile perchè – e risulta chiaro nella lettura – appartiene tanto a Bowie, quando alla sua “saggiatrice”: essi condividono la profonda convinzione dell’immortalità dell’arte. Nulla muore davvero, tutto si trasforma.

Il testo è un viaggio interstellare nel mondo di Bowie, passando per le scene, i personaggi, le musiche, di Lazarus; un viaggio accogliente anche per chi si trovasse al primo imbarco, purchè entusiasta e ben disposto. La raccomadazione, infatti, è quella di non dimenticare la necessità di muoversi con cura tra le parole della Orlando tra cui si sostagna un sogno suo che parla del sogno di Bowie, che sogna il sogno dell’altro. Dell’altrove.

La vita è sogno. Verrebbe facile citare il dramma filosofico-teologico seicentesto di Pedro Calderón de la Barca, ma se è vero che l’intera esistenza è sogno, caratterizzata da illusorietà, fugacità temporale, vanità del terreno; l’unica realtà rivelatrice di tutto questo sarebbe solo la morte, che riconduce a alla “trasformazione” di cui l’arte ha potere.

Il bianco è acromatico: contiene tutti i colori dello spettro elettromagnetico”.

Allora ha un senso che Lazarus, sia Lazarus, anche nella sua etimologica accezione “colui che è assistito da Dio” o “colui che Dio ha aiutato“, d‘altra parte dio è forza creatrice, e cos’altro è l’Arte?

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