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“L’imperfezione del creato” diventa perfezione letteraria: Donato Carrisi

Recensire un solo libro di Donato Carrisi è riduttivo. Si potrebbe commentare una storia, disvelarne gli aspetti più intriganti ed evidenziare quale dettaglio, passaggio più o meno convincente, ma non si potrebbe andare davvero a fondo in quella che è una scrittura affascinante nel suo insieme, che può essere tranquillamente considerato una sorta di chiave d’equilibrio tra stile e storia.

Un linguaggio scorrevole e potentemente evocativo, un’indagine realistica ed avvincente ed un colpo di scena che riabiliterebbe anche gli scettici di questo stratagemma letterario che fanno di ogni romanzo di Carrisi una lettura avvincente difficile da sospendere.

Accade con L’uomo del labirinto (Longanesi, 2017) – poi divenuto anche un film nel 2019 con Toni Servillo e Dustin Hoffman e parte di un ciclo che ha per protagonista Mila Vasquez in cui si annoverano anche L’ipotesi del male (Longanesi, 2013), Il suggeritore (Longanesi, 2009), Il gioco del suggeritore (Longanesi, 2018) – ma anche con La ragazza nella nebbia (Longanesi, 2015) – anche questo divenuto un film che ha conquistato il “David di Donatello” – senza dimenticare la cosiddetta “Trilogia di Marcus” ( Il tribunale delle anime (Longanesi, 2011), Il cacciatore del buio (Longanesi,2014) , Il maestro delle ombre (Longanesi, 2016) ) e gli altri romanzi, quali La donna dei fiori di carta (Longanesi, 2012), La casa delle voci (Longanesi, 2019) e l’ultimo in ordine di tempo Io sono l’abisso (Longanesi, 2020).

Leggendo tutta la sua produzione si disvela un sistema bilanciato che rende la firma di Carrisi riconoscibile e tra le più accattivanti del thriller italiano; la narrazione scorre tra angolazioni diverse, una dinamica che il più delle volte non solo si presta a rendere più scattante e coinvolgente la trama, consentendo di approcciare ad una vicenda da diversi risvolti della stessa, ma consente anche la possibilità di disvelare punti di vista, vessilli di mondi e sistemi di pensiero eterogenei, rispetto ai fatti che si compiono nel diveniere della vicenda e scelte dei personaggi che in essa agiscono.

Un aspetto, questo, che indaga l’animo umano, al di là del thriller stesso, offrendo spaccati di mondi e creando un sostrato contenutistico ancora più profondo. Nascono così passaggi come quello ne L’uomo del labirinto che ricorda come “la natura umana era capace di genio e bellezza, ma anche di generare abissi oscuri e nauseabondi come quello che si era appena chiuso davnti ai suoi occhi”.

O quello ne Io sono l’abisso che suggerisce come “La spazzatura era la prova dell’imperfezione del creato. E siccome di solito alle persone non piaceva che gli venissero rammentati i difetti, il suo compito da adulto consisteva nel far sparire ogni traccia dalla loro vista. Infatti, nessuno voleva sapere che fine facessero i propri rifiuti una volta gettati via. Ma poi aveva capito che ogni cosa al mondo ha uno scopo. Perfino i rifiuti avevano un valore”.

O per citarne ancora uno: “Il sospetto si propaga in una comunità seguendo le stesse dinamiche di un’epidemia, lo sapeva? Basta poco perchè il contagio diventi inarrestabile. La gente non cerca giustizia, vuole solo un colpevole. Per dare un nome alla paura, per sentirsi sicura. Per continuare a illudersi che tutto va bene, che c’è sempre una soluzione” – tra le righe de La ragazza nella nebbia.

E’ lecito credere che questo stile matura grazie ad un sopraffino intuito letterario di Carrisi unito alle sue competenze in Scienza del comportamento – oltre che in Giurisprudenza e Criminologia; l’acume della fantasia che va a pescare immagini, pensieri, circostanze nell’impensabile o nella realtà a diverse latitudini fanno il resto.

Ne deriva che la sua penna plasma thriller che sono climax ascendenti d’azione e di consapevolezza.

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